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ItalianKetogenicDiet: La Dieta Chetogenica nel mondo della chetosi

All’interno del mondo della chetosi, convivono diverse diete chetogeniche. ItalianKetogenicDiet appare essere una delle più efficaci e salutari.

La chetosi

Il mondo della “chetosi” è assai articolato e complesso. Non esiste una sola “dieta” chetogenica, ma è più corretto affermare che esistono diverse diete chetogeniche che si differenziano tra loro sotto molteplici aspetti.
Partendo dal presupposto che la forma più elementare di chetosi è il digiuno, le varie “chetogeniche” possono differire per indicazione terapeutica, per apporto di proteine, di lipidi e di calorie ma anche per il timing di assunzione di nutrienti e la durata stessa del protocollo, nonché per il possibile utilizzo di integratori o cibo naturale oppure alimenti chetogenici di origine industriale.
In effetti, sarebbe più corretto parlare di dietoterapie chetogeniche.
Purtroppo però non tutte queste dietoterapie possano vantare gli stessi profili di efficacia e sicurezza.
A questo proposito, giova ricordare che, sebbene sempre più studi amplino i campi di applicazione della chetosi aumentando l’interesse verso le diete chetogeniche, è assolutamente sconsigliato il fai da te.
Questo regime alimentare, infatti, è purtroppo carente di diversi macro e micronutrienti che devono essere opportunamente integrati e sarebbe auspicabile che a gestire l’intera dietoterapia fosse un professionista qualificato, esperto ed aggiornato.
A nostro avviso, sebbene esistano diversi protocolli validi, l’ItalianKetogenicDiet sembra essere l’espressione dietoterapica chetogenica più sicura, efficace e salutare per le diverse considerazioni che andremo ad affrontare.

La dieta “proteica”

La dieta ProteicaLa “dieta chetogenica” evoca spesso aspre discussioni e dibattiti addirittura a partire dal nome stesso. Sbagliando, infatti, un protocollo di dieta chetogenica viene spesso definito proteico.
Occorre ricordare come il termine dieta sia un vocabolo che deriva dal greco ed identifica un corretto stile di vita, inteso nella sua accezione più ampia e salutare.
In questo senso, associare la parola “dieta” alla parola “proteica” potrebbe sembrare un ossimoro.
In effetti ciò che comunemente viene indicato come “dieta chetogenica”, ed erroneamente come dieta proteica, altro non è che un regime, o meglio una terapia alimentare, in cui l’alimentazione è costituita principalmente da proteine, ha una quota variabile di grassi e viene privata in modo più o meno completo di carboidrati.
Attraverso questo tipo di alimentazione, al netto di patologie, si entra in quello stato assolutamente fisiologico definito chetosi nel giro di 36/48 ore. Occorre sottolineare come questa tempistica possa variare notevolmente da paziente a paziente e sia funzione, tra l’altro, della flessibilità metabolica del singolo soggetto.
Se però l’entrata in chetosi richiede una tempistica variabile, l’uscita avviene in modo pressoché immediato alla reintroduzione di carboidrati.
Tornando alla definizione chetogenica-proteica, in effetti, il primo step da affrontare nello scrivere un protocollo di dieta chetogenica realmente salutare ed efficace consiste nella determinazione del corretto apporto proteico.
Purtroppo quale sia il corretto apporto proteico in un regime alimentare così distante dal modello di alimentazione mediterraneo a cui siamo abituati, è ancora argomento di discussione, e genera confusione anche tra gli stessi addetti ai lavori.
Cerchiamo di fare chiarezza.
Le linee guida, indicate e riassunte dai Livelli di assunzione di riferimento (LARN), indicano con esattezza le quote proteiche necessarie in una normale alimentazione che prevede, accanto all’introduzione di proteine e grassi, anche l’assunzione di carboidrati. Purtroppo, molto meno si conosce circa il fabbisogno proteico in un regime di chetogenetica, in cui una buona parte delle proteine introdotte non viene utilizzata a scopi plastici ma energetici.
Infatti, una volta esaurite le scorte di glucosio circolante e di glicogeno epatico, (N.B. non muscolare) si nota un notevole incremento della gluconeogenesi.
La gluconeogenesi è un processo fisiologico che ha lo scopo di sostenere i livelli di glicemia, prende inizio dall’ossalacetato e prevede il consumo di una notevole quantità di aminoacidi.
In chetosi, gli aminoacidi introdotti attraverso le proteine assunte, hanno quindi una duplice funzione: plastica ed energetica.
Assicurare un corretto apporto proteico, capace da un lato di sostenere il normale turnover dell’azoto mantenendo quindi la massa muscolare del soggetto e, parallelamente, di sostenere gluconeogenesi è un passaggio fondamentale per la riuscita della dietoterapia chetogenica.
Il valore di glucosio ematico infatti, contrariamente a quanto si possa ritenere, continua ad essere utilizzato come fonte energetica ma la sua origine è endogena e non derivante dalla alimentazione. In chetosi i valori di glicemia, perdurando l’assenza di fonti esterne di zuccheri, scendono fino a mantenersi stabili intorno a 65-80 mg/dl e vengono successivamente garantiti costanti dalla gluconeogenesi.
Il glucosio prodotto attraverso questa via metabolica prende origine dall’ossalacetato normalmente implicato nel ciclo di Krebs e tutto il processo viene alimentato da aminoacidi influenzando anche il bilancio azotato.
Giova, a questo punto, ricordare come il bilancio azotato sia la differenza tra l’azoto introdotto e l’azoto eliminato dall’organismo.
Come noto, l’azoto corporeo è concentrato in rapporto 1:16 a livello proteico e quindi un grammo di proteine corrisponde a 6,25 grammi di azoto.
Pareggiare la quantità di azoto escreto sotto varie forme (azoto urinario, residuo urinario, perdite cutanee e fecali) con l’azoto introdotto sotto forma di proteine consente di mantenere costante la massa muscolare. Un bilancio di azoto negativo indica deperimento, viceversa un bilancio positivo garantisce sintesi proteica.
Storicamente moltissimi esperti e scienziati hanno fornito il loro contributo nel determinare la corretta quota proteica mantenendo lo stato di chetosi.
La dieta chetogenica deve il proprio iniziale successo al protocollo Atkins. In questo caso lo schema utilizzato non contemplava il calcolo dell’apporto proteico ma era prevalentemente qualitativo.
Questo approccio garantisce una compliance ottimale da parte del paziente poiché, in linea di massima, non è costretto a pesare il cibo. Deve essere però sottolineato come non quantificando e personalizzando l’apporto proteico, si corrano due rischi: c’è da un lato il rischio di un eccessivo apporto proteico determinando, ad esempio, sovraccarico renale, dall’altro di deperimento quando l’apporto proteico risulta essere insufficiente.
Il Prof. Blackburn, agli inizi degli anni ’70, codifica la Blackburn dieta e migliora questo aspetto introducendo il concetto di peso ideale o peso obiettivo.
Per peso ideale Blackburn intende il peso del soggetto al termine del percorso dimagrante, per peso obiettivo il peso realisticamente raggiungibile al termine di un ciclo di dietoterapia.
L’apporto proteico secondo Blackburn è pari al peso ideale del soggetto moltiplicato per un fattore variabile in funzione del sesso del paziente stesso.
Nello specifico, Blackburn quantifica i grammi di proteine necessari pari al peso ideale del soggetto espresso in kg moltiplicato per 1,2 in caso di pazienti donne o per 1,5 in caso di maschi.
Anche in questo caso però le criticità sono evidenti poiché esistono diversi fenotipi di obesità. Semplificando, possiamo affermare che in alcuni pazienti obesi la massa muscolare può essere più pronunciata, mentre in altri pazienti si potrebbe arrivare a forme di obesità sarcopenica in cui il peso totale è dovuto principalmente alla massa grassa. Prendendo in considerazione soltanto il valore-peso si andrebbe, ipoteticamente, a fornire un quantitativo proteico identico per nutrire masse muscolari profondamente diverse. Ciò appare essere concettualmente errato.
Altra criticità di questa metodica risiede nel concetto di peso obiettivo. Pazienti con pesi di partenza (e di massa muscolare) estremamente diversi potrebbero avere il medesimo peso obiettivo e quindi lo stesso apporto proteico. Anche questa condizione non sembra, quindi, ottimale.
Tutti questi “tentativi” hanno contribuito a creare il sillogismo errato: dieta chetogenica-dieta proteica.
Ancora oggi, comunque, la determinazione del corretto apporto proteico risulta un argomento estremante delicato che a nostro giudizio, per essere correttamente risolto non può prescindere da una accurata valutazione dello stato nutrizionale e della composizione corporea.

La valutazione della composizione corporea ed il corretto apporto proteico

LA dieta ChetogenicaAccanto alle misure antropometriche come altezza, peso, circonferenze, pliche, per una corretta valutazione della composizione corporea, devono essere valutati anche i singoli comparti in dettaglio.
Molto importante è la valutazione della BCM attraverso un esame di bioimpedenza.
Sebbene questa tipologia di esame comporti delle criticità (sostanzialmente si tratta di una stima dei fluidi corporei), rappresenta comunque un valido aiuto nel determinare la componente cellulare metabolicamente attiva della massa magra, che è quella responsabile del valore di metabolismo basale, e che, sostanzialmente, deve essere nutrita. La valutazione dello stato di idratazione totale del soggetto derivante dalla stessa misurazione, accanto al valore di BCM, fornirà al professionista un valido strumento per determinare in modo accurato il necessario apporto proteico.
La metodica di riferimento nella valutazione della composizione corporea di un paziente è comunque rappresentata dalla DXA. Attraverso questa metodica si ottengono abbastanza facilmente i valori di massa magra, massa grassa e contenuto minerale osseo.
Utilizzando le più recenti metodiche di valutazione, importanti autori determinano il corretto apporto proteico in chetosi, stimandolo in 2 grammi di proteine ogni kg di massa magra misurato attraverso metodica gold standard DXA.
In effetti, a seguito dei numerosi studi scientifici pubblicati e rintracciabili in letteratura, questo valore sembra essere il più idoneo nel garantire il mantenimento della massa muscolare del soggetto in chetosi ed è proprio la base dell’ItalianKetogenicDiet accanto ad un altro parametro da tenere in considerazione ossia il livello di attività fisica.

La massa muscolare ed il metabolismo basale

Come noto, preservare la massa muscolare di un paziente è elemento cardine di ogni dietoterapia e riveste particolare importanza in chetosi.
Dalla massa magra, ed in particolare dalla massa muscolare, deriva infatti gran parte del dispendio calorico a riposo. Ridurre la massa muscolare significa, tra l’altro, determinare un taglio del metabolismo basale del soggetto.
Effettivamente molti pazienti lamentano una ripresa del peso successivamente ad un protocollo VLCKD. La causa può essere, nella maggior parte dei casi, rintracciata nel taglio della massa magra derivante da uno scarso apporto proteico e nella conseguente riduzione del valore del metabolismo basale al termine della terapia.
Determinare il corretto apporto proteico durante lo stato di chetosi rappresenta quindi una tappa fondamentale che deve essere valutata con estrema attenzione, come avviene appunto nel protocollo ItalianKetogenikDiet.

La qualità dell’apporto proteico

Dopo aver determinato l’esatto intake proteico è oppurtuno parlare della qualità delle proteine introdotte poiché nell’ottica di mantenimento della massa magra anche questo fattore gioca un ruolo determinante.
Le proteine infatti possono essere catalogate seguendo diversi criteri e si differenziano tra loro anche per il valore biologico, ossia la maggiore o minore presenza di aminoacidi essenziali nonché per la capacità di essere biodisponibili.
Somministrare il medesimo apporto proteico, ma proveniente da fonti diverse, non garantisce affatto il medesimo risultato in termini di risparmio di massa muscolare.
La scelta della fonte proteica rappresenta quindi un tassello fondamentale per la riuscita della chetosi nutrizionale.
Il protocollo ItalianketogenicDiet prevede, accanto alla stima quantitativa dell’intake proteico, anche un’attenta valutazione qualitativa.

L’apporto lipidico

Determinato il corretto apporto proteico, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, possiamo ragionare circa l’apporto lipidico.
In una dieta chetogenica l’apporto lipidico totale è in funzione dell’apporto calorico della dietoterapia.
Esistono protocolli di chetogenica, utilizzati a scopo dimagrante, in cui l’apporto calorico, e di conseguenza l’apporto lipidico, risulta essere estremamente ridotto. Così come esistono protocolli di chetosi, particolarmente utilizzati in neurologia, in cui gli apporti calorici, e quindi lipidici, devono necessariamente essere maggiori.
Indipendentemente dall’apporto calorico totale e di conseguenza dall’apporto lipidico, la scelta delle fonti di grassi risulta un passo fondamentale per garantire a tutta la dietoterapia chetogenica elevati standard nutrizionali.
Con il termine “lipidi” vengono identificate una vasta gamma di molecole organiche che possono essere suddivise in base alla loro struttura chimica ed alle loro funzioni fisiologiche. Particolarmente interessanti dal punto di vista nutrizionale sono il colesterolo e gli acidi grassi.
Il colesterolo è un elemento strutturale fondamentale delle membrane cellulari e funge, tra l’altro, da precursore per moltissimi ormoni. In funzione della sua importanza il valore di colesterolo deve essere mantenuto all’interno di particolari range.
Giova ricordare come il colesterolo in eccesso possa accumularsi nei vasi e l’elevata presenza di alcune sue frazioni è addirittura considerata un fattore diagnostico di rischio cardiovascolare.
D’altra parte anche gli acidi grassi hanno struttura e funzione diversa tra loro, ma si possono, sommariamente, distinguere in saturi, mono insaturi e poli insaturi, cis e trans.
Il rapporto degli introiti dei singoli acidi grassi e del colesterolo dovrebbe essere valutato con attenzione, tenendo, ad esempio, in debita considerazione l’attività antinfiammatoria delle serie omega tre.
A questo proposito, nello scrivere una corretta dietoterapia chetogenica, può essere utile ricordare e valutare alcuni importanti indici di qualità nutrizionale.
I più importanti sono l’indice di aterogenicità, quello di trombogenicità e quello relativo all’apporto di colesterolo/acidi grassi saturi.
L’indice di aterogenicità prende in considerazione l’apporto dei grassi moninsaturi e saturi e discrimina il potere aterogenico della dieta.
Viceversa, l’indice di trombogenicità attribuisce differente peso ai vari acidi grassi omega tre ed omega sei in accordo con il loro potere antitrombogenico ed include, nella valutazione, anche gli acidi grassi monoinsaturi accanto ai grassi saturi. Inoltre esso valuta anche il potere trombogenico totale della dietoterapia.
Da ultimo, ma non meno importante, dovrebbe essere considerato l’indice di colesterolo/acidi grassi saturi che esprime la qualità nutrizionale degli alimenti ed è un valido indicatore per l’individuazione del rischio aterogenico.
La scelta delle fonti lipidiche diventa, quindi, un passo fondamentale per prevenire l’insorgenza di patologie cronico degenerative ed in buona sostanza una migliore qualità nutrizionale dell’alimentazione.
Prediligere fonti lipidiche ricche di acidi grassi mono e poli insaturi rende tutta la dietoterapia chetogenica estremamente più salutare.
Valide fonti di acidi grassi mono insaturi sono, ad esempio, l’olio di oliva EVO, mentre grassi polinsaturi possono essere rintracciati in alcune specie di pesce come il salmone, il pesce azzurro, oppure in molti semi come quelli di lino.
Viceversa sarebbero da limitare i cibi ricchi di acidi grassi saturi e di colesterolo come, tra gli altri, gli insaccati, il burro e le carni rosse processate. Occorre ricordare come in moltissimi protocolli di chetogenica l’apporto di lipidi arrivi a percentuali caloriche anche molto elevate.
Privilegiare quindi oli di altissima qualità appare determinante per garantire una dieta chetogenica salutare.
Fondamentalmente, la scelta delle fonti lipidiche dovrebbe orientarsi prediligendo i grassi tipici della dieta mediterranea, esattamente come prevede il protocollo di chetogenica: ItalianKetogenicDiet.

La biochimica della chetosi

Una volta determinati, sia qualitativamente che quantitativamente, gli apporti proteici e lipidici, possiamo concentrarci ad illustrare in dettaglio il meccanismo alla base della chetosi.
I principi su cui si fonda il protocollo chetogenico sono la chetosi e la gluconeogenesi.
La chetosi alimentare è quel meccanismo assolutamente fisiologico che si instaura in un individuo sano quando l’introito giornaliero di carboidrati scende al di sotto di un valore soglia approssimativamente individuato in 50g. Esiste anche una forma di chetosi patologica, tipica del diabete, in cui la concertazione di corpi chetonici, i valori di glicemia, i valori di insulina ed il pH sono profondamente diversi da quelli registrati nella chetosi alimentare, ma le due condizioni non devono essere confuse.
Non esiste uno standard di durata di un trattamento di chetogenica. Essendo una condizione assolutamente fisiologica, l’organismo è in grado di “sopportare” periodi anche relativamente lunghi di privazione di zucchero.
Contrariamente a quanto si possa pensare, l’organismo umano non dipende dallo zucchero e non ha bisogno di assumerlo.
E’ perfettamente in grado di produrlo.
I substrati che il corpo umano non è in grado di riprodurre vengono definiti essenziali e devono obbligatoriamente essere introdotti con l’alimentazione, ed il glucosio non è tra questi.
Attualmente vengono definiti essenziali, e quindi immancabili nell’alimentazione umana, soltanto un pool limitato di aminoacidi e due acidi grassi.
I principi biochimici alla base del trattamento sono, come abbiamo sottolineato, la gluconeogenesi e la chetogenesi.
La chetogenesi avviene prevalentemente a livello epatico. Essa si verifica a seguito di un aumento di acetilCoA, che si ha quando la velocità con cui esso entra nel ciclo di Krebs rallenta.
L’organismo umano necessita di glucosio ma, privato di fonti glucidiche, una volta esaurite le scorte di glucosio circolante e di glicogeno epatico, è costretto alla neo sintesi di glucosio ossia alla gluconeogenesi. La sintesi ex novo di glucosio avviene principalmente nel mitocondrio epatico e prende inizio dall’ossalacetato. Nelle condizioni descritte, il ciclo di Krebs rallenta, poiché l’ossalacetato non è più a disposizione dell’acetilCoA per condensare e formare citrato.
La gluconeogenesi è una via dispendiosa e necessita di energia per poter essere messa in atto. In caso di scarso apporto calorico, l’energia necessaria viene messa a disposizione dal tessuto adiposo con la sua riserva di trigliceridi.
I trigliceridi, conservati nel tessuto adiposo come riserva, vengono scissi dalle lipasi in acidi grassi e glicerolo; il glicerolo viene indirizzato direttamente al fegato che lo utilizza per la gluconeogenesi, mentre gli acidi grassi fuoriescono dal tessuto adiposo e vengono anch’essi destinati al fegato, legati all’albumina sotto forma di NEFA. Nel fegato gli acidi grassi diventano substrato della beta ossidazione, meccanismo attraverso il quale si produce ATP ed intermedi riducenti quali NADH e FADH2. Proprio questi ultimi sono indispensabili per far procedere la gluconeogenesi risultando la “moneta” con cui il corpo umano “paga” la produzione di glucosio. La beta ossidazione degli acidi grassi, necessaria per fornire l’energia alla gluconeogenesi, comporta l’accumulo di acetil-CoA. L’acetil-Coa è l’ultimo prodotto di degradazione degli acidi grassi e, in condizioni normali, andrebbe a condensare con l’ossalacetato entrando in questo modo nel ciclo di Krebs. In chetosi la reazione tra acetil-Coa ed ossalacetato non può avvenire poiché quest’ultimo è stato indirizzato verso la produzione di glucosio. Le molecole di acetilCoA quindi condensano tra di loro formando i corpi chetonici che andranno in circolo e verranno utilizzati dai tessuti extraepatici come substrato energetico.
I corpi chetonici principali sono tre: acetone, acetoacetato e betaidrossibutirrato (sebbene il betaidrossibutirrato non sia chimicamente un chetone ma un alcool).
L’acetone è volatile e viene espulso attraverso la respirazione, mentre l’acetoacetato ed il betaidrossibutirrato vengono veicolati nel torrente ematico.
Al netto di patologie, tutti i tessuti possono utilizzare i corpi chetonici come fonte energetica ad eccezione di fegato e globuli rossi, i quali necessitano in modo particolare di glucosio ottenuto, come abbiamo visto in precedenza, attraverso la gluconeogenesi.
I meccanismi appena descritti sono fisiologici e, se avvengono in presenza di una corretta sintesi e performance di insulina, risultano completamente sicuri e privi di tossicità per il paziente. L’insulina è infatti l’ormone chiave nella regolazione di questo processo. Essa provvede, tra l’altro, ad abbassare i livelli di chetonemia, mantenendoli ben distanti da quelli patologici.

La scelta dei nutrienti

Chetosi e CiboIn chetosi la scelta dei cibi rappresenta una tappa fondamentale.
Principalmente possiamo distinguere tre vie, ossia tre diverse metodiche per alimentarsi in chetogenica.
La prima, quella a nostro avviso da preferire e che tipicamente contraddistingue l’ItalianKetogenicDiet, prevede l’utilizzo di cibi freschi. L’apporto proteico dovrebbe provenire principalmente da pesce, dovrebbe esserci uno scarso apporto di carne rossa, e la scelta dei lipidi dovrebbe privilegiare acidi grassi mono e poli insaturi e quindi alimenti come olio EVO e frutta secca.
Logicamente questo tipo di approccio, pur garantendo elevata qualità nutrizionale, si caratterizza dall’essere elaborato e di difficile gestione. Non tutti infatti possono avere la possibilità di effettuare una spesa quotidiana o di poter disporre del tempo necessario per allestire succulenti piatti a base di pesce fresco.
Un diverso approccio potrebbe prevedere la sostituzione integrale o parziale dei cibi freschi con pasti sostitutivi.
Questa via, per quanto più gestibile rispetto alla prima, non è comunque scevra da controindicazioni.
La qualità dei pasti sostitutivi deve essere attentamente valutata, spesso in questi preparati sono presenti fonti di soia o latte che vengono utilizzate per correggere l’apporto proteico e, logicamente, essendo pasti prodotti industrialmente, possono contenere anche conservanti e coloranti. Tutto sommato, sebbene abbiano il vantaggio di una maggiore praticità, risultano essere meno validi da un punto di vista nutrizionale rispetto agli equivalenti piatti freschi. Una via che potrebbe mettere tutti d’accordo, coniugando qualità nutrizionale e gestibilità della dieta chetogenica, potrebbe essere quella che prevede un menù principalmente a base di piatti freschi ed una integrazione proteica, da assumere sotto forma di bibite o barrette, per sostituire uno o più pasti al giorno. Attraverso una integrazione proteica si riesce tra l’altro, a garantire un migliore apporto di aminoacidi, specialmente di quelli essenziali, che possono essere deficitari tanto nel cibo fresco quanto più in quello industriale.

Conclusione

Al termine di questo excursus sulla chetosi nutrizionale appare doveroso fissare dei punti fermi.
Lo stato di chetosi, al netto di patologie, si istaura quando l’apporto di carboidrati scende al di sotto di un valore soglia che differisce tra paziente e paziente ma comunque prescinde dall’apporto proteico e lipidico.
Nella dietoterapia chetogenica è di fondamentale importanza garantire il corretto apporto quali-quantitativo di aminoacidi e proteine.
L’apporto lipidico può essere più o meno importante dal punto di vista quantitativo ma deve necessariamente essere di altissima qualità con la predilezione di acidi grassi mono e poli insaturi e la contemporanea limitazione di quelli saturi.
L’apporto di fibra deve essere garantito almeno in una quantità approssimativamente stimata di 20/30g al giorno.
L’apporto di acqua deve consentire il normale funzionamento di tutte le necessità fisiologiche tipiche della chetosi.
Deve essere valutata caso per caso l’eventuale necessità di una integrazione di proteine, vitamine, sali minerali, fibra, pre e probiotici.
Alla luce di tutte le considerazioni finora espresse, il protocollo di chetosi nutrizionale ItalianKetogeicDiet, nato sulla scorta delle più recenti pubblicazioni scientifiche in ambito di chetogenica, appare essere, a nostro avviso, l’approccio nutrizionale di chetosi più completo, salutare e sicuro poiché riesce a coniugare un corretto e personalizzato apporto proteico ad un adeguato profilo lipidico, una notevole fonte di fibre accanto ad un aminoacidogramma completo, un apporto di micronutrienti calibrato in funzione delle singole necessità unito ad elevati valori di indici di qualità nutrizionali per assicurare il successo della dietoterapia chetogenica in completa sicurezza.

Bibliografia:

Effects of a Personalized VLCKD on Body Composition and Resting Energy Expenditure in the Reversal of Diabetes to Prevent Complications

A Hazelnut-Enriched Diet Modulates Oxidative Stress and Inflammation Gene Expression without Weight Gain

Body reshape in a young woman with a very low calorie ketogenic diet with protein replacement: a case report

Efficacy and safety of very-low-calorie ketogenic diet: a double blind randomized crossover study

Very-low-calorie Ketogenic Diet With Aminoacid Supplement Versus Very Low Restricted-Calorie Diet for Preserving Muscle Mass During Weight Loss: A Pilot Double-Blind Study

Effects of very-low-calorie diet on body composition, metabolic state, and genes expression: a randomized double-blind placebo-controlled trial

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