Una dietoterapia deve avere come scopo primario la salute del paziente, purtroppo pubblicità, mode e falsi miti spesso vanno in direzione contraria
Di Marco Marchetti
Spesso, chi si occupa di nutrizione, nell’illustrare la dieta al paziente, può trovarsi a contrastare non soltanto errate abitudini alimentari ma anche mode, pubblicità e falsi miti.
Una “dieta”, come sappiamo bene, aldilà della reale etimologia della parola, che significa corretto stile di vita, può avere diverse finalità: terapeutiche o meramente estetiche.
Una dietoterapia che può avere questa duplice valenza, e di gran moda in questo periodo, è la “dieta chetogenica”.
In effetti la dietoterapia chetogenica viene ampiamente utilizzata in caso di epilessia farmaco resistente, per migliorare i fattori di rischio cardiovascolare, nella PCOS e nel diabete di II tipo. Ulteriori campi applicativi sono in ambito neurologico e sembra mostrare potenzialità in caso di patologie neurodegenerative ed oncologiche. La stessa dietoterapia declinata con un bassissimo apporto calorico, viene ampiamente utilizzata in ambito dietoterapico dimagrante.
Lo stato di chetosi, molto semplicisticamente, si raggiunge limitando l’introito di carboidrati sotto un valore soglia approssimativamente stimato intorno ai 50g, ma che varia comunque da paziente a paziente.
Va da se’ che un apporto così ristretto di carboidrati inevitabilmente conduce ad un aumento, almeno percentuale, della presenza degli altri due macronutrienti, ossia proteine e grassi.
L’apporto proteico è funzione della composizione corporea del paziente, esso svolge un duplice ruolo (plastico ed energetico), è destinato al mantenimento della massa muscolare e deve essere di elevata qualità per garantire il corretto apporto di aminoacidi essenziali.
Superato il concetto di peso ideale, molteplici studi indicano come apporto necessario quello pari a 2g di proteine ogni kg di massa magra, misurato con metodica di riferimento DXA.
Per quanto riguarda l’apporto lipidico, invece, la questione è diversa e sotto certi aspetti più complessa.
I lipidi svolgono importantissime funzioni fisiologiche e, per quanto in una dietoterapia dimagrante il loro intake sia ridotto, in caso di diete chetogeniche destinate ad altri scopi il loro apporto può essere anche molto rilevante e devono quindi essere scelti con cura.
A questo proposito devono essere privilegiate fonti di acidi grassi mono e poli insaturi, tipiche del bacino del mediterraneo come olio di oliva EVO, pesce, frutta secca, ma possono essere utilizzati anche frutti non propriamente mediterranei come, ad esempio, l’avocado.
L’apporto di acidi grassi saturi come quelli provenienti da carne, burro, margarine e derivati animali in generale dovrebbe, invece, essere limitato quanto più possibile.
Illuminante da questo punto di vista è uno studio appena pubblicato:
“Dietary Fats and Cardiovascular Disease: A Presidential Advisory From the American Heart Association” e pubblicato dall’American Heart Association Presidential Advisory sulla rivista Circulation.
Questo studio getta una luce importante sulla distinzione tra i vari acidi grassi e richiama l’attenzione sull’importanza di limitare l’assunzione di grassi saturi tra cui l’olio di cocco, alimento attualmente molto pubblicizzato e di tra gran moda specialmente tra i pazienti in chetosi.
Pur se gli acidi grassi maggiormente presenti nell’olio di cocco sono a media catena, essi rimangono comunque grassi saturi ed il loro apporto dovrebbe quindi essere limitato.
In effetti anche gli indici dietetici di qualità nutrizionale come l’indice di aterogenicità (AI), l’indice di trombogenicità (TI) e l’indice di colesterolo e acidi grassi (CSI) vanno nella stessa direzione.
Tutti questi indici definiscono le proprietà nutrizionali e salutistiche di una dieta e prendono in considerazione gli apporti tra i vari acidi grassi consigliando di limitare al massimo gli introiti di grassi saturi a favore quelli di mono e poli insaturi, il tutto a vantaggio della salute del paziente.
Queste considerazioni assumono un valore estremamente rilevante in caso di dietoterapia chetogenica in cui l’apporto di lipidi può essere, come abbiamo visto, anche particolarmente elevato.
Una dietoterapia chetogenica, in effetti, a parità di apporto calorico e proteico si distingue esclusivamente per l’apporto lipidico e questo deve essere scelto con cura per salvaguardare la salute del paziente senza badare alle mode del momento.
Riassumendo possiamo dire che sebbene l’olio di cocco, ad oggi, riscontri molto favore da parte dei pazienti per il suo sapore e la sua versatilità di utilizzo e sia ampiamente pubblicizzato, il suo consumo dovrebbe, invece, essere estremamente limitato a vantaggio di oli di altissima qualità ma forse un pò meno esotici e “di moda” quali quelli tipici del bacino del mediterraneo, perché una dieta deve essere salutare, non necessariamente di moda.
“Dietary Fats and Cardiovascular Disease: A Presidential Advisory From the American Heart Association”