Una dieta chetogenica a bassissimo apporto di calorie inizia a riscuotere consenso anche nel mantenimento del risultato sul lungo periodo
Di Marco Marchetti
I mondo delle diete chetogeniche è vasto e variegato ed è composto da un insieme di regimi alimentari che, pur avendo in comune lo scarso intake di carboidrati, possono differire tra loro per gli apporti degli altri due macronutrienti nonché di calorie.
All’interno di questa galassia di dietoterapie, non tutte salutari ed efficaci, i protocolli a bassissimo apporto di calorie, indicati con l’acronimo inglese VLCKD ossia very low calories ketogenic diet, si contraddistinguono per la loro capacità di far perdere peso.
Giova sempre ricordare che la perdita di peso, per essere salutare, deve consistere in dimagrimento, ossia il peso perso deve essere composto pressoché esclusivamente da massa grassa.
Sotto questo aspetto, all’interno della dieta chetogenica, è fondamentale stabilire il corretto apporto proteico. Durante la chetosi, indipendentemente dall’apporto calorico, mancano i carboidrati ed alle proteine spetta un duplice compito: plastico ed energetico.
Da ciò consegue che uno scarso, o comunque inadeguato, apporto proteico determini deperimento, ossia perdita di massa muscolare, proprio perchè la proteine introdotte in misura insufficiente con l’alimentazione non hanno la possibilità di coprire tanto il fabbisogno energetico quanto quello plastico.
Da un punto di vista dietoterapico dimagrante, in ottica di mantenimento del risultato raggiunto, questo passaggio è cruciale.
Infatti, come noto, buona parte del valore di dispendio energetico di un individuo, deriva dalla massa muscolare, tessuto particolarmente ricco di mitocondri, che “respirando” consumano ossigeno e substrati energetici.
La massa muscolare però svolge anche il ruolo di riserva proteica per l’organismo ed in caso di insufficiente intake con la dieta di proteine (o aminoacidi), viene di fatto consumata.
Perdere massa muscolare si traduce, in ultima analisi, in un abbattimento del valore di dispendio energetico a riposo proprio per la perdita di un tessuto particolarmente “dispendioso” dal punto di vista energetico in quanto ricco di mitocondri.
Un soggetto che, per dimagrire, intraprende una dieta ipocalorica ma con un insufficiente apporto proteico vedrà scendere il suo peso ma, al contempo, abbattere il proprio valore di dispendio energetico proprio perchè consuma la massa muscolare per sopperire al deficit proteico.
Al termine del regime ipocalorico, tornando ad una alimentazione meno restrittiva, diventerà facilmente vittima del famoso, quanto temuto, effetto yo-yo poiché la sua capacità di “bruciare” calorie sarà inferiore al passato avendo perso massa muscolare.
Atualmente, una dieta VLCKD è utilizzatissima a scopo dimagrante anche per l’azione anoressizzante centrale svolta di corpi chetonici prodotti ma, se non rispettosa della massa magra del paziente attraverso un corretto intake proteico, rischia di avere sul mantenimento del risultato raggiunto il suo tallone d’Achille.
Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui, anche alla luce di risultati di molteplici studi, importanti società scientifiche indicano la dieta mediterranea ipocalorica come scelta dietoterapica di elezione per perdere peso sul lungo periodo.
Ultimamente però, anche grazie alla maggior attenzione all’apporto proteico, sembra che qualcosa stia cambiando.
In base ai dati illustrati in una recentissima review e meta-analisi, anche una dieta chetogenica VLCKD può garantire efficacia in termini di perdita di peso sul lungo periodo.
Gli autori della pubblicazione: Efficacy and safety of very low calorie ketogenic diet (VLCKD) in patients with overweight and obesity: A systematic review and meta-analysi affermano che, indipendentemente dal risultato sul breve termine, il peso dei pazienti può rimanere stabile nel successivo follow up fino ad un periodo di due anni.
Inoltre, gli stessi autori evidenziano importanti riduzioni di indice di massa corporea, circonferenza vita, colesterolo totale e trigliceridi, accanto a migliori valori di transaminasi e pressori.
I numeri di drop-out, ossia di pazienti che interrompevano la dieta chetogenica era, negli studi presi in considerazione, sovrapponibile a quello delle dietoterapie di raffronto.
I risultati sono quindi incoraggianti tanto che gli stessi autori terminano auspicando una futura inclusione della dieta chetogenica VLCKD all’interno delle linee guida.
Questa pubblicazione ci porta a trarre alcune considerazioni. Una dieta chetogenica, a maggior ragione declinata nella sua versione più ipocalorica VLCKD, non deve essere gestita in autonomia. Troppo alto è infatti il rischio di malnutrizione con conseguenze tanto sulla salute, quanto in termini di risultato sul lungo periodo.
Sebbene una dieta chetochenica sia attualmente ampiamente utilizzata nei campi più disparati, si consiglia sempre di affidarsi ad un professionista qualificato ed esperto di chetosi che sappia, anche attraverso l’utilizzo di adeguata strumentazione, determinare i corretti apporti nutrizionali per una riuscita ottimale della dietoterapia con un conseguente miglioramento della composizione corporea e dello stato di salute tanto sul breve quanto sul lago periodo.