Determinare il corretto apporto proteico in chetosi, rappresenta la tappa fondamentale di tutta la dietoterapia.
Di Marco Marchetti
Ricercatore Università Roma Tor Vergata
La dieta chetogenica viene, spesso, definita proteica. Mai sillogismo fu più sbagliato.
Lo stato di chetosi, al netto di patologie, si ottiene per via alimentare in assenza di nutrienti, non con un loro maggior apporto.
Si è in chetosi, normalmente, quando l’apporto di carboidrati scende al di sotto di un valore soglia approssimamene stimato intorno ai 50g al giorno.
Logicamente, tutto va calibrato in funzione dello stato fisico, metabolico e patologico di ogni soggetto, ma possiamo affermare che la chetosi alimentare si raggiunga grazie al deficit di carboidrati. In assenza di carboidrati, l’alimentazione di un soggetto è basata su proteine e grassi e sappiamo che l’apporto proteico è necessario per mantenere la massa muscolare ma viene utilizzato anche come substrato energetico.
Mantenere la massa muscolare di un soggetto deve necessariamente rappresentare lo scopo primario di una dietoterapia dimagrante.
Sappiamo infatti che la massa muscolare rappresenta il vero motore del nostro organismo poiché, grazie alla sua ricchezza in mitocondri, concorre in modo importante al valore di dispendio energetico basale di un soggetto.
Perdere massa muscolare significa, in definitiva, perdere dispendio energetico basale e, per pazienti in cerca di dimagrimento, si traduce nel famoso effetto yo yo.
Poiché una dietoterapia chetogenica è spesso utilizzata a scopo dietoterapico dimagrante, è fondamentale determinare il corretto intake proteico, per evitare che la perdita di peso riscontrata in bilancia sia a carico della massa muscolare anziché della sola massa grassa.
Storicamente, a questo proposito, si sono susseguite diverse metodiche, o teorie, per determinare il corretto apporto proteico in chetosi.
Blackburn, ad esempio, stimava come corretti apporti proteici pari a 1,5 g e 1,2 g di proteine ogni kg di peso ideale, rispettivamente per uomo o donna.
Non va sottaciuto quanto, oggi, il concetto di peso ideale sia obsoleto.
Cos’è il peso ideale? Soggetti con composizioni corporee profondamente diverse ma della stessa statura avrebbero inevitabilmente lo stesso peso ideale e, di conseguenza, lo stesso apporto proteico.
Ma, se l’apporto proteico è destinato a mantenere la massa muscolare, come è possibile che un obeso ed un culturista, pur essendo alti uguali e pur avendo lo stesso peso, necessitino dello stesso apporto proteico?
L’incongruità del metodo è evidente.
Alcuni autori indicano come apporto proteico corretto quello di 1g per ogni kg di peso corporeo attuale, ma, in questo modo, si “foraggia” allo stesso modo la massa magra, così come quella grassa.
Se l’apporto proteico deve essere destinato a mantenere la massa muscolare come si può prescindere da una attenta valutazione della composizione corporea?
Anche in questo caso, l’approssimazione del metodo salta a agli occhi.
Illuminati, a questo proposito, sono due studi dell’Università di Roma Tor Vergata.
Nel primo: “Effects of a Personalized VLCKD on Body Composition and Resting Energy Expenditure in the Reversal of Diabetes to Prevent Complications”, tramite l’utilizzo di DXA e BIA, accanto alla valutazione antropometrica, si determina con esattezza nel valore di 2g di proteine per ogni kg di massa magra, l’apporto proteico sufficiente e necessario per conservare tutta la massa muscolare esistente e determinare, di conseguenza, un vero e proprio dimagrimento, ossia perdita di peso esclusivamente a carico della massa grassa.
Purtroppo però, questa interpretazione, risulta inapplicabile nelle pratica comune poiché in pochi centri è disponibile ed utilizzabile una DXA.
Per superare questa difficoltà viene in aiuto un secondo lavoro dell’Università di Roma Tor Vergata: “Developing and cross-validation of new equations to estimate fat mass in Italian population”.
Utilizzando l’equazione, proposta e validata in questo studio, è possibile determinare la massa grassa di un soggetto, da qui, per semplice sottrazione rispetto al peso, si ricava la massa magra.
Di conseguenza, forti delle evidenze del primo studio citato, basterà moltiplicare per 2 la massa magra ottenuta per avere il valore corretto di apporto proteico.
Ragionando sui risultati di questi due studi, utilizzando pochi e semplici strumenti, si può determinare il corretto apporto proteico per una terapia chetogenica effettivamente personalizzata, efficace e salutare, lontana anni luce dalle approssimazioni del passato e che possa veramente garantire che la perdita di peso riscontrata in bilancia sia un reale e salutare dimagrimento.